La Tenda_al MAAM testo per catalogo

Siamo poco piu’ la’, sulla via che costeggia Piazza Peru’, accanto a Piazza (                  ) ,con tanto di insegna ancora senza nome.

LA CITTA’ E’ DI CHI SE LA GIOCA“ accompagna una scritta a fondo campo, quel campo da calcio le cui linee bianche del manto non combaciano, anche se il puzzle si tiene insieme lo stesso e di partite qui, se ne giocano ogni giorno.

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Partite fuori dalla scatola al MAAM, lontane dall’immagine sulla scatola del puzzle, di quel gioco che pretende contenerle. A due passi da li’, in quel capanno, ho scelto di ancorare la Tenda nel suo percorso a ritroso, 15 kilometri, 7 kilometri.. La Tenda al MAAM li contiene potenzialmente tutti e trova un luogo che corrisponde alle linee del suo disegno, ignorando una geografia che ci divide e non corrisponde piu’ alle nostre rotte.

Linee verticali, di un capanno dismesso, una verticalita’ che non conosce posa, come i piccioni che lo abitano in questo grigio circolare, La Tenda e’ a tutto tondo. L’orizzonte e’ da costruire, non incontra piu’ la terra. la Tenda e’ sospesa e puo’ protendersi, trovare i propri percorsi, i propri appigli. Fettucce di raso e calamite a segnare meridiani magnetici sul metallo di queste pareti, dove il colore incontra il gesto, negando il limite, individuando varchi di un panorama possibile, quello del contatto privo di bussola se non quella del corpo che raggiunge, si protende, incontra.

La Tenda incontra qui le prove aperte dello spettacolo Black is the new Black e in quei corpi ridotti a puro corpo

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e in quella risata finale ancora un gesto, vivo. Ritrova Joanna Barros e adatta la sua ipotesi di salto al proprio accesso Mustafa per entrare nella Tenda devi saltare!“ – „ ma io non ho mai saltato in vita mia“ – dice lui ridendo, schivando e anche Mustafa finira’ per saltare. Joanna e il suo corpo prestato con la performancce I only escape through the exit door.

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Cieco alle linee, districandosi al buio nello spettro cromatico tutto, anche quello che non vediamo e con i nodi di una Tenda in alto mare.

Incontrera’ Gianluca Tullio e il suo Ghetto Italia, scatti e testimonianze da panorami terribilmente vicini quanto sordidamente nascosti, panorami che non riconoscono l’altro.

La Tenda si e’ disegnata lanciando, attraversando, annodando, il corpo ridotto alla necessita’ del gesto. L’orizzonte della Tenda non e’ piu’ meta lontana, ma prossimo passo, salto che diventa percorso in una geografia ventosa le cui sponde e coordinate sono andate perdute o non rappresentano piu’ un riferimento.

-„qui siete in Africa?“ – mi chiede Florin. – „Siamo a Riace, rispondo io, in Calabria e ora qui .. con questi ragazzi che vedi, abbiamo costruito la Tenda con 7 km di colore attraverso il paese.

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Mentre passo il dito sull’immagine bianca e nera, Davide, Ilham, Feven, Ilias tracciano linee verso la piazza principale. „7 km e’ la distanza che collega Riace al mare, dal quale tutti loro sono arrivati. Anche con loro abbiamo lanciato le linee della Tenda… Il piu’ piccolo, gli dico indicandolo nell’immagine, e’ mio figlio.“ Elia che ora ha sei anni sta’ giocando a calcio sul campo proprio difronte al capannone.

La Tenda e’ nata proprio con lui chiedendosi se possa esserci un luogo che la vita nell’arte protegga. Nata come amuleto, giocattolo con i colori tutti, quale circo di disegni da intavolare, tutte le coordinate possibili per le sue piccole dita, terra libera da feticci per il suo immaginare ma anche come espediente, riparo in una maternita’ in esilio, senza fissa dimora, senza padri, giostra di coordinate temporali. Cresce ed esce in strada ed e’ stendardo, trasportanta in manifestazione per 15 km

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e si ritrova nei suoi colori sottratti al discorso, diventati collage, nei colori alle porte del capanno di Francesco Bancheri.

La Tenda ha imbastito i suoi km di colore lanciando sassi, annodando un tetto ad una porta ad una strada, con mani e piedi, dribblando le linee spezzate del campo per trovarne altre. La Tenda e’ nata come una scommessa.

Scommessa rilanciata di volta in volta nel dialogo con Susanne Rieper senza la quale la Tenda e tanti suoi passaggi non esisterebbero, che ha prestato alla Tenda il suo di corpo di frontiera, la sua presenza in prima linea sempre. e ancora qui con Sylvie e Charlotte che incontro mentre lavoro e ci intervistano per il loro documetario P(o)se ta bombe collegando questa scommessa a quella di tante altre donne, dal Marocco a Roma, loro con le bombolette in mano e la telecamera.

Scommessa che abbiamo forse gia’ vinto quando cerco di far capire a mio padre che quel campo da calcio e’ stato costruito dagli abitanti del Metropoliz e Daniel, che intervisto al riguardo , mi spiega che e’ stato costruito per i bambini,;mentre mio padre, pur guardando il video che gli porto a testimonianza, insiste che non e’ possibile, perche’ e’ un lavoro gigantesco e che esisteva sicuramente gia’ prima dell’occupazione ed era probabilmente il campo da calcio della ditta Fiorucci per i suoi dipendenti…

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La Tenda trova nel capanno anche quell’ abbandono, quegli squarci, crateri e tracce di altre storie, quegli scarti, resti velenosi che ne fanno ancora parte. Intessuta di questa fragilita’, fa’ dell’abbandono la strategia del suo incedere apolide, perche’ abbandonandosi cede al varco, allo strappo, lo accoglie e quando puo’ lo incarna.

Ad addentrarlo ci pensa Cipian girando tutto intorno al capanno, con Susanne, le scarpe protette da buste, al secondo giro, dopo che le sue scarpe le abbiamo ben ripulite, perche’ intorno al capanno, nell’angusto spazio che lo divide dall’edificio adiacente, c’e’ un sacco di fango, di spazzatura.

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Con bomboletta gialla alla mano, raggiunge il punto dove va’ portato il giallo, fuori, oltre la lamiera, -„sono qui ..vedi la mia mano? mi vedi?“ – „Si ti vedo“.

                                                                                                                                                                                        Valeria Sanguini